Duro allenamento, sacrifici per realizzare i propri sogni, impegno, forza e determinazione, voglia di spingersi oltre i propri limiti: questo rappresenta il mondo di un atleta. Ma quando tutto questo finisce?

 

Quando Alice Canclini mi ha chiesto di intraprendere un percorso di mental coaching credo che in cuor suo avesse già deciso di lasciare la carriera agonistica, solo che ancora non lo sapeva. Abbandonare, se così possiamo dire, quello che si è fatto per una vita intera, può essere infatti fonte di confusione, smarrimento e incertezza, anche quando la scelta è totalmente personale.

Confrontarsi in questi casi aiuta a mettere tutta questa confusione nero su bianco, a fare ordine e a trovare nuove risorse per intraprendere nuovi cammini.

Bisogna fare i conti con un nuovo io che non si conosce ancora.
Chi sono?
Cosa so fare di altro?
Se scelgo di smettere la carriera agonistica quali benefici perdo? Come cambierà la mia vita?
Queste sono solo alcune delle più probabili domande che attraversano la mente di uno sportivo che ha deciso di voltare pagina.

In questo articolo affronto a livello generale la tematica in oggetto, partendo dal presupposto fondamentale che ogni persona è differente ed ognuno ha, come vedremo, il proprio percorso.

Per molti anni l’ esperienza della pensione sportiva è stata definita una “transizione”, suggerendo l’ idea di un evento facile da affrontare. Nonostante  in alcuni casi questo possa essere effettivamente vero, per molti atleti purtroppo la fase di abbandono della propria carriera costituisce un evento critico e difficile da accettare. Per molti professionisti il ritiro è un concetto a cui vogliono pensare il più tardi possibile, per altri invece il ritiro dalle competizioni può costituire un momento tanto atteso, per ragioni legate alla presenza di eccessive pressioni esterne oppure a causa della tanta fatica mentale e fisica accumulata nel tempo. Questi fattori molto frequentemente sono alla base dell’ abbandono della propria carriera e fanno insorgere nell’ atleta il desiderio di spingersi in nuove “avventure”.

Non tutti gli atleti però riescono ad affrontare serenamente la conclusione della propria carriera agonistica e faticano ad intraprendere una nuova vita “normale”.

Ciascuna esperienza di ritiro è differente a seconda delle caratteristiche individuali dell’atleta, delle influenze del suo contesto e del momento storico della carriera in cui si trova.

Ci sono sportivi che sono costretti a lasciare la propria carriera a causa di infortuni o malattie; molti atleti che, a causa della loro età e raggiunti determinati livelli, non sono più fisicamente in grado di competere; in altri casi invece si tratta di atleti che decidono per scelta personale di interrompere la loro carriera ed intraprenderne una nuova, come è stato per Alice Canclini. Se vuoi saperne di più sulla sua scelta clicca qui.

Diverse ricerche evidenziano che gli atleti che rientrano nelle prime due categorie possono riscontrare maggiori difficoltà ad adattarsi alla loro nuova vita.

La fine della carriera comporta infatti numerosi cambiamenti radicali nella vita personale, sociale e professionale dell’ ex-sportivo influenzando fortemente gli individui a livello cognitivo, emotivo e comportamentale. Alcune ricerche hanno dimostrato come questo momento critico possa far insorgere negli atleti reazioni emotive dolorose che possono persino condurre alla depressione. Diversi studi riportano che il 20% degli atleti in attività soffre di depressione e che tale percentuale sale al 50% se si considerano anche gli atleti che hanno concluso la propria carriera.

La carriera di un atleta professionista ha una parabola decisamente differente rispetto a quella di un normale lavoratore. Essa infatti inizia molto presto ( la maggior parte degli atleti fa il suo exploit attorno ai 20 anni ) e termina purtroppo in una fascia precoce d’età ( compresa tra i 35 e i 40 anni nella stragrande maggioranza degli sport ).È in tale condizione che l’atleta si trova a dover ricominciare da zero la propria vita, quella che era la vecchia routine viene stravolta .

Secondo la teoria dei livelli logici di Robert Dilts, l’identità di una persona fa riferimento al modo in cui percepisce se stesso. Tutti noi assumiamo diverse identità a seconda del ruolo che ricopriamo in una determinata circostanza, ma tra tutte una è sempre dominante rispetto alle altre. Nel caso della persona in cui il ruolo di atleta professionista prevale, è possibile che possa andare incontro ad eventuali crisi di identità quando questo ruolo principale viene a mancare. Un senso di vuoto e di smarrimento viene sperimentato da queste persone che trovano difficoltà nel dover cominciare a fissare i propri obiettivi di vita diversi da quelli sportivi. 

Oltre a fattori psicologici, l’equilibrio fisico degli ex-sportivi è influenzato anche da fattori biologici, la mancanza di dosi regolari di serotonina e adrenalina in circolo nei corpi di atleti causerebbe un grande sconvolgimento nell’ organismo causando problemi nella qualità del  sonno e nella risposta fisiologica a situazioni di stress.       

Affrontare la crisi individuando nuove risorse grazie all’aiuto dello psicologo dello sport

                                     

Diviene quindi necessario superare questa crisi per essere in grado di intraprendere una nuova strada e fissare nuovi obiettivi da raggiungere con lo stesso impegno e determinazione  con cui affrontarono le loro sfide personali in ambito sportivo.

Riducendo l’ identificazione esclusiva con il proprio “Io sportivo” e attribuendo una maggior importanza alle altre proprie potenzialità, l’atleta può limitare la possibilità di crisi dopo il ritiro dallo sport;  lo sviluppo di altri interessi e attività extra-sportive ed anche l’acquisizione di tecniche per la gestione dello stress, possono costituire uno strumento fondamentale per affrontare questa transizione.

La figura dello psicologo sportivosvolge quindi un ruolo cardine nella fase di abbandono della carriera sportiva, in quanto:

  • fornisce un valido supporto per superare la crisi di identità aiutando l’atleta a interiorizzare una nuova visione di sé che parta dal riconoscimento delle proprie risorse extra sportive;
  • offre sostegno psicologico in relazione all’emotività che accompagna l’evento;
  • supporta l’atleta nei processi comunicativi verso l’esterno;
  • aiuta l’atleta a definire nuovi obiettivi e a disegnare il percorso per raggiungerli.