Chiunque faccia sport ad un certo livello sa che una buona dose di attivazione è necessaria per affrontare gare o partite, a qualsiasi livello.

Affrontare una discesa sugli sci o una maratona richiede infatti un’attivazione fisica e mentale ben diversa dallo stare comodamente seduti sul divano a guardare la nostra serie tv preferita.

Ma cosa è l’attivazione e da cosa è generata?

Nel presente articolo mi soffermerò ad analizzare l’attivazione intesa come relazione tra il livello di stress e la capacità di gestione dello stesso da parte del soggetto e qui è bene, sin da subito, fare un po’ di chiarezza sul significato di stress.

Il termine stress è entrato nel vocabolario comune per indicare situazioni di disagio, di tensione, di forte preoccupazione o di ansia e molto spesso viene vissuto come un qualcosa da eliminare, ma come affermava Hans Selye, considerato il padre fondatore delle ricerche sullo stress, “la completa libertà dallo stress è la morte”.

Meglio non liberarsene quindi!

In medicina lo stress viene definito come sindrome generale di adattamento (SGA) atta a ristabilire un nuovo equilibrio interno (omeostasi) in seguito a fattori di stress (stressors). Il maggiore o minore successo dei processi adattativi (capacità di adattamento) è dato dal bilancio tra le caratteristiche qualitative e quantitative degli eventi che li suscitano e dalle risorse personali del soggetto coinvolto.

Quindi se da una parte c’è l’evento stressante dall’altra ci sono le caratteristiche personali del nostro sportivo … ecco quindi che ogni atleta, dovrebbe caratterizzarsi innanzitutto per la sua capacità di governare le difficoltà perché lo sport ti sottopone inevitabilmente a ostacoli, insuccesso, frustrazione, solitudine, sfortuna.

Detto in altri termini, il mondo sportivo estremizza lo stress e premia chi lo sa gestire al meglio.

Bene. E quindi?!

Il punto chiave è la consapevolezza, infatti saper gestire lo stress e saper individuare il giusto livello di stress/attivazione per ottenere la nostra miglior performance passa necessariamente attraverso la conoscenza di noi stessi e del nostro funzionamento di fronte agli eventi (stressor).

Due psicologi di Harvard, R.M. Yerkes e J.D. Dodson, furono i primi a studiare la relazione tra l’attivazione e la prestazione degli individui e nel 1908 formularono una legge che imponeva che all’aumento dell’attivazione (fisiologica o mentale) aumentasse anche la prestazione, ma solo fino ad un certo punto.

Hanno previsto infatti che la prestazione ottimale si ha a livelli intermedi di attivazione, infatti quando i livelli di attivazione oltrepassano il punto limite la prestazione inizia a diminuire, soprattutto nello svolgimento di compiti complessi.

Tuttavia, come ben illustra il collega Cesare Picco nel suo libro “Stress&Performance atletica” questa legge è valida per la maggior parte degli atleti, quelli da lui definiti con motore a benzina, ma non per tutti!

Accanto a questa tipologia di atleti, infatti possiamo individuare atleti con motore a gas, atleti con motore diesel ed atleti a funzionamento misto A e B, ognuno dei quali ha un funzionamento differente per quanto concerne la relazione tra stress e performance.

Ecco perché la consapevolezza gioca un ruolo chiave.

Attraverso alcuni indici comportamentali è possibile riconoscersi in una delle categorie sopra illustrate e quindi imparare a gestire allenamenti, pre-gare, gare e recuperi in funzione del proprio funzionamento.