Intervista “doppia” quella con Antonella Manzoni, atleta della Nazionale Italiana di Sci d’Erba dal 1996 e allenatrice di Sci Alpino per il Valsassina Ski Team.

Sono in Nazionale da tanto tempo, dal 1996 e sono diventata prima maestra, e poi nel 2002 allenatrice di sci alpino. La neve d’inverno e l’erba d’estate, da sempre hanno caratterizzato la mia vita sportiva; sono stata anche atleta agonista sulla neve, ma ho avuto una serie di infortuni nelle stagioni chiave e cosí ho continuato con l’agonismo solo sull’erba.

Come valuti la coesistenza di queste discipline? So che alcuni allenatori non la vedono di buon occhio …

Intanto credo che fino a una certa età praticare diversi sport sia fondamentale per la crescita fisica dei ragazzi in quanto permette di sperimentare diverse sensazioni.

Nel caso specifico è vero che il passaggio da una all’altra disciplina richiede degli adattamenti, anche se comunque ci sono dei fattori comuni; si tratta infatti in entrambi i casi di uno sport di scivolamento dove movimenti e coordinazione sono molto simili. Credo che sia anche bella la variabilità, non dico che non debba esserci l’allenamento in ghiacciaio d’estate, ma che lo si può alternare a qualcosa d’altro.

E’ uno stacco anche a livello mentale.

Ovviamente dico questo in riferimento agli atleti più piccoli, perché da un certo punto in avanti la dedizione e la costanza sono fondamentali.

Iniziamo con qualche parola chiave:

#TALENTO

Credo che il talento esista e che lo si veda concretamente in un bambino già a partire dai 6/7 anni; intendo dire che vedi il bambino a cui vengono le cose facilmente, o che ha il piede giusto. Crescendo però le cose cambiano. Il talento, infatti potrebbe trasformarsi anche in un arma a doppio taglio, intendo dire che il bambino che ha sempre fatto buoni risultati e che ha sempre trovato tutto facile, potrebbe non sviluppare appieno la capacità di lottare per ottenerli e non di rado accade che il bimbo meno talentuoso … che per fare risultato deve impegnarsi di più, che deve allenarsi di più, che deve metterci quel qualcosa in più … alla fine abbia la meglio!

Crescendo le sfide si fanno più impegnative e l’abitudine a vincere con poco sforzo non è mai funzionale quando il gioco si fa duro; risulta infatti necessario aver sviluppato altre caratteristiche, quali la costanza e la capacità di sopportare la fatica per ottenere risultati. Detto in parole povere “bisogna sapersi fare il mazzo!”

Per te come ha funzionato il “talento”?

Se lo penso da atleta, ti dico che da piccolina ho sempre fatto un po’ di fatica; il talento è uscito dopo sulle specializzazioni, la scorrevolezza e il coraggio ad esempio mi hanno caratterizzata per una propensione alle discipline veloci quali il SuperG e la Discesa; sono caratteristiche che possono anche essere allenate, però possederle già per predisposizione è decisamente un grande aiuto! Ad ogni modo, posso dire che il talento si è manifestato un pochino dopo … all’inizio ho sempre fatto una gran fatica! Anche fisicamente ero quella a cui piaceva mangiare, quindi un po’ più cicciottella e un po’ meno prestante dei miei coetanei da un punto di vista atletico, ma col senno di poi anche questo può essere stato un bene per sviluppare determinate caratteristiche che mi sono servite poi …

#PASSIONE

E’ quella che mi ha portato dove sono ed è sconfinata.

Ho avuto la fortuna di avere due genitori che non solo sciavano, ma lavoravano al Cainallo nella Direzione Sportiva e organizzazione gare, aggiungici che mio nonno lavorava alla funivia al Pian delle Betulle, per cui a due anni avevo già gli sci ai piedi.

Il contesto può facilitare lo sviluppo di un atleta, oppure no, infatti quando ero un po’ piu grandina ho avuto un paio di anni di crisi dovuti al rapporto con un allenatore; volevo smettere di sciare, ma per fortuna i miei genitori hanno compreso le criticità e mi hanno fatta cambiare contesto; in quegli anni andare a sciare per me era diventata fonte di ansia e avrei sicuramente deciso di abbonare lo sci se non ci fossero stati loro.

A fare sci d’erba ho invece iniziato intorno ai 14 anni, quando l’allora presidente dello Sci Club Bellano, Tanghetti, rappresentante FIS a livello nazionale, ci diede 4 paia di sci da provare e da quel momento non ho più smesso. Mi è subito piaciuto e ho apprezzato il fatto di potermi allenare “a casa” senza dover passare molto tempo lontana allo Stelvio durante la stagione estiva.

Ho quindi iniziato per caso a fare le gare, poi a 16 anni ho vinto la Coppa Italia e sono entrata in Nazionale.

La mia carriera dura da diverso tempo, oggi ho 39 anni e ci sono stati momenti belli e momenti difficili … infortuni tanti, praticamente a stagioni alterne, ma penso che se non avessi avuto tutti quegli infortuni non avrei mai trovato quella forza di essere ancora qui a 39 anni e di riuscire ancora a fare questi risultati!

Dalla mia “sfiga” ho tirato fuori la mia forza.

Quando ho avuto il mio bimbo dopo il parto ho avuto una depressione post partum e in quel periodo andare a fare allenamento mi ha aiutata ad uscire, lí lo sci per me è stata una salvezza. Anche in quel caso ho trovato la forza di reagire!

 In generale sono sempre riuscita a tirar fuori una forza, che non so nemmeno dove sia andata a prendere.

Per fare un esempio recente, al concludersi della scorsa stagione ero 2^ in Coppa del Mondo e la penultima gara sono caduta in allenamento lussando la spalla. In quel momento ho visto passare davanti ai miei occhi tutte le medaglie che stavo per perdere, perché me la stavo giocando anche per 3 medaglie di specialità: SuperG, Gigante e l’Assoluta …  Ad un primo momento ho pianto disperata, ma già dopo un’ora mentre ero in ambulanza per andare al pronto soccorso pensavo a cosa dover fare per gareggiare il giorno dopo. Dovevo fare la gara a qualunque condizione! Quella forza lì credo proprio mi sia venuta da tutto quello che avevo vissuto negli anni passati.

Il giorno dopo ero al cancelletto e “ce la dovevo fare, punto”. Il come non era importante.

#SACRIFICIO

Senza sacrificio non è bello ottenere risultati. Il risultato è la somma di tutto quello che hai fatto prima, e questo è vero, anche se non tutti i sacrifici vengono ripagati.

Ci sono periodi in cui ti chiedi “chi me lo fa fare?”

In particolare negli ultimi anni sento di sacrificare il tempo con mio figlio e questa cosa ha un peso, ma alla fine ho sempre trovato la motivazione che mi spinge a continuare.

Posso comunque dire, che al di la di questo, i sacrifici più pesanti sono forse stati in età adolescenziale, quando i tuoi amici escono e la tua vita da atleta non può essere uguale a quella di altri ragazzini, ma la domenica mattina in partenza ad una gara mi guardavo intorno e mi sentivo fortunata.

Oggi che seguo i ragazzi posso dire che è dura e spesso avere alle spalle una famiglia che ti supporta è fondamentale; lo è ancora per me oggi. Io sono via da maggio a settembre e i miei genitori hanno preso un camper per riuscire a seguirmi sempre con il mio bimbo, che adesso ha 7 anni. Senza questo supporto, probabilmente non avrei potuto continuare … già è stato durissimo lasciare il mio bimbo 10 giorni quando sono andata in Iran, figuriamoci se dovesse essere l’abitudine!

#FALLIMENTO

Il fallimento esiste, ma dai fallimenti si può sempre ricominciare e più forti di prima, anzi ti dirò che credo proprio che il fallimento sia un passaggio fondamentale perché toccare il fondo è l’unico modo per risalire davvero. A me è successo fuori dal contesto sportivo, con la mia separazione, eppure da li sono risalita e per questo imparare a gestire il fallimento è fondamentale.

Da allenatrice, che rapporto hanno i ragazzini oggi con il fallimento e la sconfitta?

Vedo tanti ragazzini e posso dire che pochi sanno reagire alle sconfitte, pochi di fronte all’errore dicono: “ok ho sbagliato, però ci riprovo” … quel però ci riprovo sempre spesso manca. Questo a me fa provare una profonda amarezza, però capisco che a volte vivono in contesti dove hanno sempre tutto facile e quindi in fondo chi te lo fa fare di fare fatica? Adesso è tutto subito, e queste cose influenzano il carattere dei ragazzi; da mamma sono la prima a preoccuparmi dell’effetto che questo contesto può avere sull’educazione del mio bambino.

Sono molto felice negli ultimi anni di seguire come allenatrice i superbaby, perché è soddisfacente per me portare i bimbi a fare le prime garette e insegnar loro a credere in loro stessi e a provarci e riprovarci.

#SUCCESSO

Il successo non è necessariamente la vittoria.

Nella mia carriera agonistica ho 11 medaglie mondiali, ma non ho un oro …una volta per un centesimo, una volta per due … fatto sta che non ho un oro, ma alla fine se vinco 3 medaglie in un mondiale, è vero non ho l’oro, ma sento comunque di aver avuto successo. Sono arrivata li con tanti sacrifici e avere una medaglia al collo è un successo, ma come lo è anche arrivare decima in una disciplina che non è la mia, come in slalom ad esempio. Quest’anno ho fatto delle gare di slalom che per me sono state un assoluto successo!

Questa stagione è stata quella in cui ho vinto di più in assoluto in Coppa del Mondo, ma il Mondiale l’ho toppato in pieno, è dal 2005 che ogni 2 anni al Mondiale vinco almeno una medaglia; i giornalisti spesso enfatizzano queste situazioni, ma la verità è che nonostante io abbia avuto molto costanza da maggio a settembre, forse la miglior costanza di sempre, il mondiale l’ho sbagliato con un 5^ posto come miglior risultato.

Eppure non lo vivo come fallimento, ho comunque portato a casa per la prima volta 5 medaglie in Coppa del Mondo, e forse è il motivo per non smettere e riprovarci tra due anni!

In un range da 1 a 10 quanto conta la “testa” nel tuo sport? 

Avrei voluto usarla di più quando ero giovane!

Oggi sono un’atleta molto consapevole, con obiettivi chiari e con un elevato grado di lucidità sulla gestione delle gare; oggi quando metto i bastoncini fuori dal cancellato sono concentrata al massimo. Ripensando a quando avevo 20 anni le cose non stavano esattamente così … posso dire che alle volte ero veramente “allo sbaraglio” e forse tanti infortuni che ho avuto sono dovuti al fatto che fisicamente e tecnicamente c’ero, ma mentalmente mi mancava assolutamente qualcosa.

Quali sono secondo te le caratteristiche mentali fondamentali per un atleta? 

Quello che conta e che oggi riesco a fare è pensare sempre al positivo!

In ricognizione se vedo delle difficoltà non le percepisco come tali, ma penso già a quello che farò nel momento in cui dovrò affrontarle. Intendo dire che non mi lascio condizionare focalizzando la mia attenzione alla difficoltà, ma spostandola a quello che devo fare per affrontare quella difficoltà.

Non significa non provare paura perché quando devo buttarmi giù a 90 km/h su una pista tecnica o piena di dossi, so cosa significa cadere nello sci d’erba, per cui la paura credo sia normale, ma quello che intendo dire è che la so trasformare in concentrazione.

“Io sono più forte e so fare quello che devo fare” sono queste le cose che mi dico e credo che sia importante a livello mentale porsi in questa prospettiva.

Un’altra cosa che un atleta deve imparare a fare a livello mentale è sapersi perdonare gli errori e io questo penso di averlo sempre fatto.

Come allenatrice vedo che una delle risorse chiave è la motivazione, che in primis deve essere propria e non dei genitori .. detto questo penso che un allenatore possa essere una risorsa per potenziare le motivazioni dei bambini e pertanto dovrebbe sapersi adattare in modo flessibile a ciascun ragazzino a seconda della sua personalità e appunto delle sue motivazioni.

La mia esperienza negativa con l’allenatore che ho raccontato prima è sicuramente il punto di partenza del mio essere allenatrice oggi: non vorrei mai far provare ad un bambino quello che io ho provato allora.

Quale e la cosa più difficile da allenatrice?

A volte il tener fuori i problemi della tua vita, arrivare al mattino e dimenticare tutto, indossare il tuo miglior sorriso, tirar fuori l’energia ed essere al 100%.

Ogni bimbo che hai di fronte merita di avere il massimo che gli puoi dare.

A 39 anni, nonostante tu sia ancora nel pieno della carriera agonistica, hai maturità e consapevolezza. Guardando indietro, cosa ti ha insegnato lo sport?

Penso che lo sport mi abbia dato tutto.

Intendo dire che è grazie allo sport che ho saputo affrontare tutti i problemi personali che ho avuto nella vita. Lo sport mi ha dato consapevolezza e una forza che non pensavo di avere; di fronte a problemi davvero importanti mi sono guardata allo specchio e ho “tirato fuori le palle”.

Lo sport mi ha dato la grandissima consapevolezza che mi porta a dire: “Io vengo fuori da tutto, io ce la faccio”. Non voglio che passi il messaggio sbagliato; a volta infatti è necessario chiedere aiuto e l’ho fatto anche io in passato in un momento davvero buio. Quello che voglio dire è che allora mi sono resa conto che da sola non ce la facevo e ho chiesto aiuto, punto. Non sono rimasta ferma, ho messo in campo le mie risorse e con l’aiuto di una professionista ne sono uscita. Il presupposto ‘io vengo fuori da tutto” non cambia.

Hai mai allenato la tua “testa” per ottenere un miglioramento della performance o superare momenti difficili?

L’ho fatto da autodidatta. Ho letto diversi libri sulla concentrazione, sulla visualizzazione .. anche se non ho mai approfondito questo aspetto con un professionista.

Cosa hai imparato dalle tue letture?

Il pensiero positivo. Il pensiero positivo. Il pensiero positivo.

Le sere prima di andare a dormire nel periodo delle gare chiudo gli occhi e faccio la mia pista, vivendo totalmente la gara e richiamando le sensazioni buone sin da subito nella mia mente. Faccio e rifaccio la mia gara, conducendola esattamente come vorrei io.

In partenza ho un momento di scarico in cui chiacchiero con gli altri … poi ho quei 5 minuti in cui sono io e io e quello è il momento in cui immagino e focalizzo “quella cosa lí”, chiamiamola grinta o energia, per me è quella cosa che ho dentro e che libero totalmente al cancelletto.

“Quella cosa lì” è il motivo per cui a 39 anni continuo a gareggiare con ragazze del 2003/2004 … però alla fine sulla classifica non conta l’anno di nascita giusto? Fino a che sono davanti non trovo motivo per smettere. Quando inizierò a non sentire più “quella cosa lì” significherà che sarà arrivato il momento di smettere. 

Per ora mi manca ancora la medaglia d’oro!

Comunque a parte questo, ho tanti progetti per il futuro. Sto diventando istruttrice sub perché mi piacerebbe crearmi un percorso professionale in questo campo per i mesi estivi; diciamo che mi sto portando avanti, ma non è ancora il momento.

Quale messaggio vorresti dare ai giovani che si vogliono avvicinare al tuo  sport o che già lo praticano e hanno il sogno di arrivare in alto?

Avere sempre un sogno e lottare per quello!

Da piccolina per me Alberto Tomba era un oracolo ed incarnava il mio sogno (ho anche chiamato mio figlio Alberto!), nonostante non fosse un atleta standard come poteva esserlo per quell’epoca Deborah Compagnoni, rappresentava un qualcosa per cui valeva la pena lottare.

Lo sci è uno sport che ti forma davvero tanto il carattere; ricordo con piacere le trasferte in pulmino con gli amici e imparare a prepararsi le cose per stare fuori casa.

Il mio allenatore d’estate ci faceva stare al Livrio allo Stelvio come ragazzi alla pari: stavo su un mese e mezzo nel quale insieme ai miei compagni ci allenavamo alla mattina e al pomeriggio lavoravamo 4 ore: dal bar alla pulizia delle scale …

Ho imparato che se si vogliono ottenere delle cose bisogna fare dei sacrifici, che non si può avere tutto e permettersi economicamente tutto, ma di quei giorni io ho i ricordi più belli in assoluto. Ci si allenava, si lavorava, ma si stava in gruppo e ci si divertiva.

Lo sci per me è stata una vera e propria scuola di vita.