da Veronica C. Bertarini | Giu 20, 2018 | MENTAL COACHING
Chiunque faccia sport ad un certo livello sa che una buona dose di attivazione è necessaria per affrontare gare o partite, a qualsiasi livello.
Affrontare una discesa sugli sci o una maratona richiede infatti un’attivazione fisica e mentale ben diversa dallo stare comodamente seduti sul divano a guardare la nostra serie tv preferita.
Ma cosa è l’attivazione e da cosa è generata?
Nel presente articolo mi soffermerò ad analizzare l’attivazione intesa come relazione tra il livello di stress e la capacità di gestione dello stesso da parte del soggetto e qui è bene, sin da subito, fare un po’ di chiarezza sul significato di stress.
Il termine stress è entrato nel vocabolario comune per indicare situazioni di disagio, di tensione, di forte preoccupazione o di ansia e molto spesso viene vissuto come un qualcosa da eliminare, ma come affermava Hans Selye, considerato il padre fondatore delle ricerche sullo stress, “la completa libertà dallo stress è la morte”.
Meglio non liberarsene quindi!
In medicina lo stress viene definito come sindrome generale di adattamento (SGA) atta a ristabilire un nuovo equilibrio interno (omeostasi) in seguito a fattori di stress (stressors). Il maggiore o minore successo dei processi adattativi (capacità di adattamento) è dato dal bilancio tra le caratteristiche qualitative e quantitative degli eventi che li suscitano e dalle risorse personali del soggetto coinvolto.
Quindi se da una parte c’è l’evento stressante dall’altra ci sono le caratteristiche personali del nostro sportivo … ecco quindi che ogni atleta, dovrebbe caratterizzarsi innanzitutto per la sua capacità di governare le difficoltà perché lo sport ti sottopone inevitabilmente a ostacoli, insuccesso, frustrazione, solitudine, sfortuna.
Detto in altri termini, il mondo sportivo estremizza lo stress e premia chi lo sa gestire al meglio.
Bene. E quindi?!
Il punto chiave è la consapevolezza, infatti saper gestire lo stress e saper individuare il giusto livello di stress/attivazione per ottenere la nostra miglior performance passa necessariamente attraverso la conoscenza di noi stessi e del nostro funzionamento di fronte agli eventi (stressor).
Due psicologi di Harvard, R.M. Yerkes e J.D. Dodson, furono i primi a studiare la relazione tra l’attivazione e la prestazione degli individui e nel 1908 formularono una legge che imponeva che all’aumento dell’attivazione (fisiologica o mentale) aumentasse anche la prestazione, ma solo fino ad un certo punto.
Hanno previsto infatti che la prestazione ottimale si ha a livelli intermedi di attivazione, infatti quando i livelli di attivazione oltrepassano il punto limite la prestazione inizia a diminuire, soprattutto nello svolgimento di compiti complessi.
Tuttavia, come ben illustra il collega Cesare Picco nel suo libro “Stress&Performance atletica” questa legge è valida per la maggior parte degli atleti, quelli da lui definiti con motore a benzina, ma non per tutti!
Accanto a questa tipologia di atleti, infatti possiamo individuare atleti con motore a gas, atleti con motore diesel ed atleti a funzionamento misto A e B, ognuno dei quali ha un funzionamento differente per quanto concerne la relazione tra stress e performance.
Ecco perché la consapevolezza gioca un ruolo chiave.
Attraverso alcuni indici comportamentali è possibile riconoscersi in una delle categorie sopra illustrate e quindi imparare a gestire allenamenti, pre-gare, gare e recuperi in funzione del proprio funzionamento.
da Veronica C. Bertarini | Giu 1, 2018 | MENTAL COACHING
Credere in se stessi è il primo passo per ottenere dei risultati, in qualunque campo della vita.
Potrebbe sembrare strano che un atleta non creda nelle proprie potenzialità, soprattutto se ha già ottenuto qualche buon risultato…
Eppure molti degli atleti che seguo in percorsi di mental training faticano a credere in loro stessi e questo li porta inevitabilmente a non riuscire ad ottenere la loro miglior performance.
Innanzitutto è bene affermare che la fiducia in sé non è qualcosa che ci viene dato alla nascita, ma è un processo in continua evoluzione, sul quale è possibile lavorare.
Laddove capiamo che rappresenta un limite per il raggiungimento dei nostri obiettivi.
Nella Psicologia dello Sport l’autoefficacia viene individuata come uno dei principali predittori del successo sportivo e può essere definita come un meccanismo cognitivo che media la motivazione, la perseveranza, l’attivazione emotiva e il comportamento (Bandura, 2001).
Questo meccanismo incide notevolmente sulla percezione che l’atleta ha delle proprie potenzialità e sul modo in cui affronta gli eventi stressogeni, aumentando o diminuendo la possibilità di raggiungere il successo nell’esecuzione di un compito e di una competizione sportiva (Cesare Picco, 2017).
Avere una buona autoefficacia significa:
- Percepire come meno stressanti gli eventi
- Mobilitare con maggiore efficacia le proprie risorse
- Riuscire ad impegnarsi con maggior costanza e perseveranza
- Favorire l’acquisizione di nuovi apprendimenti
- Essere maggiormente efficaci nella gestione dei propri pensieri
Le ricerche in ambito sportivo hanno dimostrato che livelli prestativi ottimali sono associati ad elevata autoefficacia (Feltz, 1982) e che una valutazione positiva delle proprie prestazioni è una condizione importante per la creazione di un senso di fiducia nelle proprie potenzialità (Brody, Hatfield e Spalding, 1988; McAuley, 1985).
Possiamo quindi affermare che l’autoefficacia, risulta essere una delle caratteristiche di personalità alla base del successo sportivo, anche se è bene sottolineare che anche elevati livelli di autoefficacia non sono sempre efficaci, in quanto potrebbero portare l’atleta a commettere errori grossolani per eccessiva fiducia nelle proprie capacità o ridurre la sua disponibilità ad apprendere nuove competenze.
In conclusione è quindi bene avere sempre un occhio di riguardo verso il proprio livello di autoefficacia e ricordare che è possibile lavorarci, attraverso un percorso di mental training, al fine di ottenere la propria migliore performance!
da Veronica C. Bertarini | Mag 7, 2018 | MENTAL COACHING
“Concentrazione e forza mentale sono le guardie al confine tra la sconfitta e la vittoria.”
B. Russell
La concentrazione è un aspetto determinante della performance sportiva e al pari di allenamento e tecnica può essere cruciale per la vittoria o la sconfitta.
L’atleta, di qualsiasi livello, è prima di tutto una persona, e come tale non è immune da emozioni e pensieri che spesso lo conducono in uno stato d’ansia che rende difficile la concentrazione, arrivando a compromettere la prestazione.
Ecco quindi perché imparare a governare i propri stati d’animo è un passaggio fondamentale per lo sportivo.
La buona notizia è che la concentrazione si può allenare, allo stesso identico modo in cui si allenano i muscoli o i gesti tecnici, ovvero con costanza e ripetizione.
In questo articolo voglio proporti tre semplici esercizi, che possono essere svolti in autonomia, con una sola importante raccomandazione: devono essere ripetuti quotidianamente per almeno 8 settimane affinché inizino ad avere effetto (proprio come è necessario fare molti affondi per avere un quadricipite scolpito!).
Tecnica di concentrazione #1: la tecnica del cuore
Distenditi supino e rilassa i tuoi muscoli. Ispira ed espira lentamente e lascia che le tensioni nei tuoi muscoli se ne vadano.
Se può esserti d’aiuto metti in sottofondo una musica rilassante, di quelle utilizzate per la meditazione o lo yoga.
Quando ti senti tranquillo e rilassato concentra la tua attenzione sul battito cardiaco.
Elimina tutto il resto ed ascolta con attenzione il pulsare ritmato del tuo cuore. Immagina questo muscolo mentre pompa il sangue in tutto il tuo corpo, visualizza questo fluido vitale che dal cuore arriva fino alle dita dei tuoi piedi e delle tue mani.
Prosegui la visualizzazione per alcuni minuti, poi, lentamente, riapri gli occhi, inizia a muovere i tuoi muscoli e rialzati con molta calma.
Per non farti distrarre prima di iniziare l’esercizio punta un timer con 5 minuti, due ti serviranno per raggiungere lo stato di calma, gli altri tre per connetterti al tuo cuore.
Tecnica di concentrazione #2: la tecnica del mandarino
Per applicare questa tecnica di concentrazione dovrai seguire alcuni semplici passi:
- Immagina di stringere in mano un mandarino immaginario. Concentrati sui dettagli: immagina la consistenza del mandarino, il suo odore, il suo peso, la sua temperatura.
- Passa il mandarino da una mano all’altra, saggiandone ogni piccola sfumatura.
- Ora afferra il mandarino con la tua mano destra (la sinistra per i mancini!) e portalo a toccare la parte posteriore della tua testa. Lascia il mandarino in questa posizione: è un mandarino magico, non preoccuparti non cadrà.
- Chiudi gli occhi e lascia che il mandarino galleggi in equilibrio la dove lo hai lasciato. Concentrati sul tuo stato fisico e mentale. Probabilmente ti sentirai rilassato ma concentrato allo stesso tempo.
- Sempre con gli occhi chiusi immagina che il tuo campo visivo si espanda e riesca ad abbracciare tutto ciò che ti circonda.
Tecnica di concentrazione #3: la tecnica del bicchiere
Riempi un bicchiere pieno di acqua, afferralo e distenti il braccio di fronte a te.
Ora guarda attentamente la superficie dell’acqua e cerca di mantenere il più possibile il braccio teso ed immobile.
Fai questo esercizio 1 minuto con il braccio destro ed un minuto con il braccio sinistro e man mano andrai avanti nell’allenamento quotidiano arriva a farlo 5 minuti per ciascun braccio.
Lo scopo dell’esercizio è quello di rendere del tutto volontari i movimenti del tuo corpo, attraverso un maggior livello di concentrazione su di esso.
Prima di iniziare ognuna di queste tecniche di concentrazione ti consiglio di entrare in uno stato di tranquillità attraverso questa semplice tecnica di rilassamento: chiudi gli occhi e sposta la tua attenzione al tuo respiro.
Ispira ed espira, visualizza l’aria che entra nelle tue narici, arriva fino ai tuoi polmoni, e poi risale uscendo dalla tua bocca e man mano che respiri il tuo corpo si sente sempre più rilassato e senza tensioni.
Questa tecnica oltre che a rilassarti inizierà già a predisporti alla concentrazione.
Più la utilizzerai più ti basteranno pochi respiri per raggiungere il tuo obiettivo.
Non mi resta che augurarti buona concentrazione!
da Veronica C. Bertarini | Apr 11, 2018 | MENTAL COACHING
“Non importa quante volte cadi, conta la velocità con cui ti rimetti in piedi.”
Mario Calabresi
Nello sport le sconfitte fanno parte del gioco, anche se, perdere, non è certo l’evento sportivo maggiormente desiderato da atleti e squadre.
Tuttavia, il lato positivo delle sconfitte è che esse permettono di fermarsi a fare una valutazione delle proprie risorse, dei propri punti di forza e, al contempo, delle criticità emerse; detto in altri termini, le sconfitte servono per mettersi in discussione e migliorare.
A volte accade che le sconfitte abbiano un effetto negativo che si protrae nel tempo, diventando delle cattive abitudini sul campo di gioco e proiettano l’atleta o la squadra all’interno di in un circolo vizioso caratterizzato da un atteggiamento mentale negativo.
Cosa fare in questi casi? Ecco 5 consigli pratici.
1. Inquadrare il problema per quello che è ….
Il primo passo è quello di considerare l’insuccesso per quello che è: una momentanea battuta d’arresto, una deviazione, che sta rallentando i nostri progressi.
Dare alla sconfitta l’etichetta di temporaneità è infatti un elemento chiave che caratterizza gli sportivi resilienti.
2. Consapevolizzare che la sconfitta riguarda la prestazione
La sconfitta è il risultato di una prestazione, cioè del modo in cui ci siamo impegnati e ci siamo messi in gioco durante la competizione.
Questo significa che il fallimento non ha niente a che vedere con la nostra persona, pertanto eliminate pensieri come ‘non valgo niente”, “non raggiungerò mai i miei obiettivi”, “sono un fallito” etc.
Focalizzate piuttosto la vostra attenzione su cosa non ha funzionato nella vostra prestazione.
3. Assumersi la responsabilità, ma occhio all’autostima
In psicologia il termine locus of control indica la modalità con cui un individuo ritiene che gli eventi della sua vita siano prodotti da suoi comportamenti oppure da cause esterne indipendenti dalla sua volontà.
Le persone con locus of control interno, sono quindi quelle che si prendono la responsabilità delle proprie azioni; nella pratica questo significa che credono, a differenza delle persone con locius of control esterno, di poter esercitare un’influenza sugli eventi e quindi hanno maggiori probabilità di modificare la situazione.
Prendendosi la responsabilità, tuttavia, il rischio è che si sperimenti un abbassamento del proprio livello di autostima.
Affinché ciò non accada, come precedentemente detto, considerate l’errore come qualcosa di temporaneo e legato alla prestazione e richiamate alla memoria tutti i vostri casi di successo, nello sport o nella vita.
4. Accettare le emozioni negative e modificare la propria valutazione cognitiva
Le emozioni negative fanno parte della vita e negarle non aiuterà a non provarle.
È giusto che un atleta, una squadra o un allenatore che vive una sconfitta, dia voce alla frustrazione, alla delusione e alla tristezza per non aver raggiunto il risultato sperato.
La cosa fondamentale, però, è che elabori queste emozioni dando una nuova valutazione cognitiva all’insuccesso che più o meno potrebbe essere formulata come segue: la disfatta non é sinonimo di fallimento cronico ma punto di partenza per una nuova crescita.
Ricordate che gli eventi non sono negativi in sé, la differenza è data da come li viviamo, ovvero dalla nostra valutazione cognitiva.
“Il fallimento non è fatale. Il fallimento dovrebbe essere il nostro maestro, non il nostro becchino. Dovrebbe spingerci verso nuove stimolanti sfide, non gettarci nelle profondità della disperazione».
William Arthur Ward
5. Fissare nuovi obiettivi e pianificare il loro raggiungimento
Giunti a questo punto è necessario ritrovare nuovi stimoli e fissare nuovi obiettivi!
La tecnica del goal setting è fondamentale, per ridare significato a quello che facciamo e ripartire con una maggiore consapevolezza, migliorando i punti che si sono mostrati deboli.
Il consiglio è quello di focalizzare la propria attenzione a obiettivi di performance, piuttosto che di risultato; questo aiuterà a star lontani dalla paura del fallimento e dall’ansia di prestazione.
Focalizzarsi sul risultato rischia infatti di mettere l’atleta o la squadra, in una condizione mentale di costrizione che finisce per limitare la performance.
Il risultato, detto in altri termini, è sempre la conseguenza di una performance.
Ecco quindi che passi fondamentali sono il ritrovare la concentrazione, il rinnovamento della motivazione e la pianificazione della strada per ottenere la vostra migliore performance.
Un ultima importante raccomandazione, non smettete mai di crederci!
“Se credi di essere battuto, lo sarai.
Se ritieni di non saper osare, non oserai.
Se vorresti vincere, ma pensi di non riuscirci, è quasi certo che fallirai.
Se immagini di perdere, hai già perso, perché nel mondo è vero che il successo inizia dalla volontà dell’individuo, è nella sua mente.
Se credi di venir surclassato, lo sarai.
Per elevarti devi puntare in alto, devi essere sicuro di te prima di poter vincere un premio.
Le battaglie umane non arridono sempre all’uomo più forte o veloce.
Prima o poi l’uomo che vince sarà l’uomo che crede di poter vincere.”
Napoleon Hill
da Veronica C. Bertarini | Mar 7, 2018 | MENTAL COACHING
“Posso fare tutto quello che voglio con il potere della mia mente”
Mark mcGuire, dopo aver battuto il record di home run nel baseball
Se la performance fosse semplicemente il risultato di un buon allenamento, dell’uso di materiali tecnici adeguati, della conoscenza del campo in cui si agisce, beh .. almeno sulla carta tutti potremmo ottenere gli stessi risultati.
Ma non è così.
Cosa fa la differenza? Cosa permette di ottenere una performance eccellente e di mantenerla nel tempo?
A parità di potenzialità fisica, capacità e preparazione tecnica la differenza è data dal gioco mentale ed è proprio questo ciò di cui un mental coach si occupa.
L’obiettivo del mental coaching (o della psicologia dello sport) è quello di favorire la massima integrazione delle capacità tecniche, fisiche e mentali dell’atleta con l’obiettivo di permettergli di competere con la totalità delle proprie risorse a disposizione.
Corpo, mente ed emozioni sono parti indissolubilmente legate: è per questo che non basta più allenare solo il fisico e la tecnica per raggiungere il vero benessere personale e l’eccellenza.
Cosa significa quindi allenare anche la mente?
Ogni atleta si trova a fare i conti con emozioni, stress, pressioni, dubbi, paure e conoscere i meccanismi mentali attraverso i quali elaboriamo la realtà e i processi che regolano la motivazione è il primo passo per ottenere una performance eccellente.
Tuttavia, “è importante non solo possedere tutti gli strumenti necessari ma anche saperli utilizzare: risulta quindi fondamentale trovare quella connessione interiore che consente di ascoltare l’esterno, quell’unione mente-corpo-ambiente, che permette di fare la scelta strategica giusta, di sfruttare tutte le nostre competenze, comprese quelle meno razionali e più inconsce.
L’ Intelligenza Agonistica si muove tra tutte le componenti del pensiero, razionali e irrazionali, consce e inconsce, logiche e istintuali.” (Tratto da L’intelligenza Agonistica, Affrontare le sfide nella vita, nel lavoro, nello sport – Giuseppe Vercelli).
Detto in termini più semplicistici, lo stato d’animo che ci accompagna nell’affrontare una sfida ha un ruolo determinante ed esso è dato innanzitutto da un lavoro di consapevolezza di sé e di integrazione con l’ambiente circostante.
Gli stati mentali possono agire come un vero catalizzatore oppure risultare il più drastico dei freni.
Il mental training è quindi inteso come allenamento delle capacità e delle potenzialità della nostra mente al fine di esprimere a livelli di eccellenza l’intero potenziale del singolo atleta o dell’intera squadra, valorizzandone ed esaltandone i punti di forza ed andando a contrastare, con il giusto atteggiamento e la giusta preparazione mentale, le aree di debolezza.
“Il cervello non è in grado di distinguere un evento reale da uno intensamente immaginato, pertanto l’esecuzione mentale gioca un ruolo molto ampio nel miglioramento della performance sportiva.” (Tratto da PNL per lo sport, come allenare la mente per vincere con la programmazione-neuro-linguistica – Antonella Rizzuto).
Secondo una ricerca condotta dalla British Psycological Society – Concentration Skills Training in Sport l’allenamento mentale messo in atto in modo professionale da un Coach Sportivo può aumentare i risultati delle performance di un atleta anche del 52%.
da Veronica C. Bertarini | Mar 7, 2018 | MENTAL COACHING
Sapete cosa ha risposta Mikaela Shiffrin al suo debutto olimpico nello Slalom Speciale, quando le è stato chiesto come si sentisse nei panni di esordiente? Ecco le sue parole:
“Esordiente? No, questa gara l’ho già corsa mille volte nella mia testa. L’ho vinta, sono arrivata quinta, sono caduta”.
Tratto da “Tecniche mentali per il potenziamento della prestazione sportiva”
Cosa possiamo dedurre dalle parole della Shiffrin?
Innanzitutto che la nostra mente non distingue una situazione immaginata da una realmente vissuta ed ecco perché la visualizzazione risulta essere un esercizio potentissimo per allenare e migliorare la propria prestazione.
Vivere in prima persona un’esperienza immaginata con tutti i propri sensi permette infatti di arrivare preparati a una situazione di gara e di gestire quegli imprevisti che sono già stati affrontati nella nostra mente.
Visualizzare una scena di una precedente performance di successo o di un obiettivo futuro desiderato, permette all’atleta di familiarizzare con le sensazioni provate ed entrare in contatto profondo con gli elementi necessari per performare in modo ottimale.
Con la ripetizione mentale, la mente e il corpo si allenano a eseguire nella realtà la competenza immaginata, migliorandola, proprio come accade nell’allenamento fisico.
Le ricerche mostrano non solo che la visualizzazione è efficace, ma anche che visualizzare il risultato perfetto, piuttosto che il processo per raggiungerlo, può essere controproducente diminuendo impegno e motivazione!
Detto in altri termini, immaginare un futuro perfetto porta la nostra mente a “mollare la presa“ come ci mostrano i risultati dello studio “From Thought to Action: Effects of Process-Versus Outcome-Based Mental Simulations on Performance“ condotto nel 1999 su delle matricole dell’Università della California.
Ribaltato in termini positivi possiamo quindi dire che il focus della nostra visualizzazione dovrebbe piuttosto essere nel processo che ci porta ai nostri obiettivi, perché questo ci sprona all’azione.
E’ importante tuttavia sottolineare che la visualizzazione non consiste semplicemente nel crearsi un’immagine nella propria testa, ma nel sapere utilizzare tutti i sensi e, come in tutti gli allenamenti, il segreto risiede nella costanza e nella ripetizione dell’esercizio.
In Occidente abbiamo cominciato a capire quanto potesse essere potente la visualizzazione quando ha portato risultati incredibili nel training degli atleti russi per le Olimpiadi degli anni ’80.
In quell’occasione, gli atleti furono divisi in 4 gruppi e ad ognuno di essi fu assegnato un training diverso:
- Gruppo 1 = 100% allenamento fisico, 0% allenamento mentale ;
- Gruppo 2 = 75% allenamento fisico, 25% allenamento mentale ;
- Gruppo 3 = 50% allenamento fisico, 50% allenamento mentale ;
- Gruppo 4 = 25% allenamento fisico, 75% allenamento mentale ;
Quali furono i risultati?
Il gruppo 4, quello che aveva usato solo il 25% del proprio tempo a fare allenamento fisico e ben il 75% a dedicarsi ad allenarsi mentalmente ed in particolare visualizzando la propria gara, gli ostacoli, i traguardi e se stessi, è il gruppo che ha raggiunto la migliore performance in assoluto.