da Veronica C. Bertarini | Ott 10, 2019 | MENTAL COACHING
Quando un allenatore è un buon leader? Esiste un modello univoco di leadership che funziona a prescindere dalla squadra e dal contesto di riferimento?
Proviamo a rispondere a queste domande analizzando il ruolo dell’allenatore e alcune teorie sugli stili di leadership.
Un allenatore è chiamato a svolgere alcuni compiti che possono essere riassunti in alcuni verbi chiave: dirigere, decidere, organizzare, pianificare, istruire, formare, sviluppare, supportare, motivare, valutare.
Il modo in cui tali compiti vengono svolti dall’allenatore è influenzato dal suo stile di leadership, che a sua volta è correlato alle sue caratteristiche di personalità e alle sue esperienze pregresse.
Un grande allenatore deve essere lui stesso leader, ma deve creare altri leader che in campo riproducono idee, valori, carattere. Gianluca Vialli.
A questo punto la domanda sorge spontanea: lo stile di leadership può essere modificato? Ad esempio, un allenatore con uno stile autoritario può esercitare uno stile di leadership differente?
A mio avviso la verità sta nel mezzo perché se partiamo dal presupposto che lo stile di leadership è influenzato dalle caratteristiche di personalità il nostro allenatore avrà sempre uno stile di leadership che gli calza a pennello, ma allo stesso tempo se riuscirà a mettersi in discussione e ad accettare che quello specifico tipo di leadership non è sempre funzionale, potrà adottare a livello comportamentale altri stili al fine di raggiungere gli obiettivi che si è posto per la squadra.
La premessa è che un allenatore dovrebbe essere scelto a condurre una squadra, non solo in funzione delle sue competenze tecniche, ma anche per il suo stile di leadership poiché questo può risultare adatto ad una squadra con determinate caratteristiche, ma non esserlo affatto per un’altra squadra con caratteristiche differenti.
Detto ciò, un buon leader è colui che è in grado di modificare il proprio stile di leadership in funzione dell’esigenza contingente e in funzione degli obiettivi da raggiungere.
Nella psicologia sportiva un modello per meglio conoscere la leadership della squadra è quello messo a punto da Chelladurai; questo modello mette in relazione le caratteristiche del contesto sportivo, le caratteristiche dell’allenatore, le caratteristiche dei membri della squadra, il comportamento dell’allenatore (richiesto, reale e preferito), l’influenza esercitata sul gruppo e la performance.
Ne consegue che la performance e la soddisfazione dei membri del gruppo dipendono dal grado di congruenza tra:
- comportamento richiesto (dal contesto)
- comportamento reale del leader (percezione)
- comportamento preferito dal gruppo (desiderato)
Questo significa che se i comportamenti dell’allenatore si incrociano con le preferenze espresse dagli atleti ed ai bisogni del contesto sportivo in cui lavora, migliori saranno la performance e la soddisfazione della squadra.
E’ possibile analizzare la congruenza tra questi elementi grazie al Leadership Scale for Sport (Chelladurai & Saleh, 1980).
Spostiamoci per un attimo dalla psicologia dello sport al mondo delle organizzazioni.
Voglio infatti parlarvi di un altro modello che trova facile applicazione anche nel mondo della psicologia dello sport, ovvero il modello della Leadership Situazionale, una teoria degli anni ’70 di Hersey e Blanchard, che afferma che non esiste un solo stile di leadership efficace, ma il Leader deve saper adottare uno stile diverso a seconda della competenza e della motivazione delle persone da mobilitare, per poi decidere con quali strumenti lavorare.
Secondo tale modello un buon leader non solo deve adottare stili di leadership differenti se si trova a gestire persone differenti, ma anche con la medesima persona lo stile richiesto potrebbe essere differente al variare della situazione.
Vediamo insieme in sintesi il modello della leadership situazionale:
S1 PRESCRIVERE
Questo stile caratterizza il leader che ha un alto orientamento ai compiti e basso orientamento alle relazioni. La comunicazione è unidirezionale, le decisioni sono prese dal leader e sono poi condivise.
I giocatori hanno bisogno di direzione e controllo per iniziare; non hanno sviluppato le competenze adeguate e soprattutto l’autonomia, ma sono entusiasti e impegnati.
Questa leadership, definita direttiva risulta funzionale quando una squadra è neo-costituita oppure è composta da giocatori giovani e con poca esperienza; risulta altresì funzionale quando ci si trova a dover prendere molte decisioni su questioni delle quali si ha maturata una certa esperienza e quando ci si trova a gestire situazioni di emergenza.
S2 – VENDERE
In questo stile di leadership il capo è orientato sia ai compiti che alle relazioni. Definisce ancora i ruoli e le mansioni, ma cerca idee e suggerimenti dai suoi collaboratori. Le decisioni rimangono in mano al leader, ma la comunicazione è molto più bidirezionale.
I componenti del team hanno una certa competenza ma sono ancora relativamente inesperti, hanno bisogno di supporto ed elogi per accrescere la loro autostima.
Questo stile di leadership che possiamo definire consultiva è particolarmente prezioso quando il leader ha bisogno di prendere in considerazione i punti di vista degli altri, ma la decisione definitiva deve restare a lui. È uno stile che è importante impiegare quando il livello di conoscenza e di comprensione dei contesti che hanno i membri del gruppo è ancora in fase di sviluppo.
S3 – COINVOLGERE
Il leader in questo stile mostra basso orientamento ai compiti e alto orientamento alle relazioni. Passa ai collaboratori le decisioni quotidiane. Il leader facilita e partecipa alle decisioni, ma il controllo spetta direttamente ai suoi giocatori.
I giocatori sono competenti, ma un supporto è necessario per sostenere la loro sicurezza.
Questo stile di leadership consensuale si rivela particolarmente utile quando il leader lavora con un gruppo esperto ed è necessario agire attraverso l’influenza piuttosto che con l’autorità.
S4 – DELEGARE
Il leader è coinvolto nelle decisioni e nella risoluzione dei problemi, ma il controllo è totalmente nelle mani dei giocatori.
Il team ha sia competenze notevoli che un forte senso di maturità ed impegno. I suoi componenti sono in grado di lavorare su un progetto da soli con poco controllo e poco supporto e per questo parliamo di leadership delegativa.
Attenzione che lo stile di leadership più funzionale non è solo in funzione del tipo di squadra che mi trovo ad allenare, ma anche in funzione del compito specifico che la squadra deve affrontare. Questo significa che con la medesima squadra, in situazioni e per compiti differenti, un buon leader è colui che è in grado di esercitare i diversi stili di leadership.
Esistono delle caratteristiche che un buon leader dovrebbe avere e che sono trasversali allo stile che adotta?
Direi di si e a mio avviso, ancora una volta, hanno molto a che vedere con le competenze manageriali che si insegnano in azienda ai manager. Vediamo le principali:
- Essere responsabili
- Creare una cultura di team (mission, valori, spirito di squadra)
- Agire una comunicazione diretta, chiara ed efficace
- Criticare in privato e lodare in pubblico
- Criticare il comportamento del giocatore, non il giocatore
- Sapersi mettere in discussione
- Essere da esempio dei valori che si vogliono trasmettere.
Uno psicologo dello Sport lavora con gli allenatori al fine di potenziare le loro competenze di leadership, con un conseguente miglioramento della performance della squadra ed un maggior benessere dei giocatori.
Sei un allenatore e vuoi saperne di più? Contattami.
da Veronica C. Bertarini | Lug 12, 2019 | MENTAL COACHING
Immagine online del sito www.giirdimont.it
Tra poche settimane e più precisamente domenica 28 luglio, sulle nostre montagne si disputerà una delle più importanti Mountain Race del nostro territorio; con partenza da Premana il “Giir DI Mont” vedrà gli atleti impegnati in 32 km con un dislivello positivo pari a 2.400 m.
Tanti gli agonisti che in questi anni hanno affrontato la gara, molti anche gli iscritti amatoriali, e se la preparazione fisica è fondamentale per chiunque, non è da meno nemmeno quella mentale, perché 32 km di corsa in montagna si affrontano con il fisico, la testa e un’armonia tra questi due elementi.
Gli sport di endurance si caratterizzano per la lunghezza delle gare e quindi per la resistenza fisica richiesta all’atleta, che comporta la sopportazione mentale della fatica e del dolore, la gestione delle crisi metaboliche, la capacità di non mollare… e siamo solo all’inizio!
Immagine online del sito http://www.aspremana.it
Molte sono quindi le caratteristiche mentali che contano nella conduzione di una gara a lungo kilometraggio e ad alta intensità, ma quali sono i fattori mentali che maggiormente entrano in gioco negli sport di endurance?
E soprattutto, come possiamo allenare la nostra mente per raggiungere la peak performance?
In questo articolo ho scelto di parlarvi di 4 fattori mentali che sono fondamentali nelle gare di endurance:
Connessione mente&corpo
Negli sport di endurance è fondamentale creare un dialogo positivo e circolare tra la mente e il corpo, i quali devono diventare dei veri alleati nell’affrontare la fatica ed i limiti.
La fatica, infatti, non è solo fisiologica, ma è mediata dalla nostra percezione: numerosi gli studi che evidenziano come il limite ultimo all’ “exercise tolerance” nell’endurance non è nei muscoli, ma nella mente, in particolare in quella componente che viene definita “perception of effort” ovvero la percezione dello sforzo (Marcora, 2010). Il limite mentale sopraggiunge quindi molto prima di quello fisico e quando iniziamo a ripeterci di non farcela più, probabilmente abbiamo ancora circa il 40% di benzina fisica da poter sfruttare.
Il self talk, ovvero il dialogo interno positivo, la visualizzazione e la mindfulness sono tutte tecniche di allenamento mentale che, un volta interiorizzate, possono esserci molto utili per lavorare sulla sintonia mente-corpo, sulla percezione della fatica e sulla gestione del limite.
Durezza Mentale
La durezza mentale è un “concetto multifattoriale che comprende la capacità mentale di recuperare dopo sconfitte ed errori, l’abilità di controllare la tensione agonistica, la capacità di mantenere l’attenzione per periodi di tempo prolungati, il livello di autostima e il grado di coinvolgimento e impegno nel sopportare la fatica e raggiungere i propri obiettivi” (Goldberg, 2000).
Si tratta quindi di un concetto articolato che sottende molteplici attitudini mentali. In un percorso di mental training la fase iniziale, definita di assessment, ci permette di somministrare all’atleta un questionario sulla durezza mentale, che aiuta ad evidenziare punti di forza e aree di miglioramento nelle aree sopracitate; il risultato è un quadro d’insieme dell’atleta che funge da bussola per iniziare a lavorare sulle sue specifiche esigenze al fine di potenziare le aree che risultano più deboli.
Resilienza
La Resilienza è “la capacità di resistere alle frustrazioni, allo stress ed alle difficoltà della vita fronteggiando efficacemente gli eventi critici e reagendo in modo positivo” (Trabucchi, 2000). Si tratta di una componente chiave negli sport di endurance, in quanto aiuta a reagire in modo proattivo e positivo agli imprevisti e alle difficoltà.
L’atleta resiliente è in grado di leggere in chiave positiva i feedback interni ed esterni e conseguentemente pronto a modificare i propri obiettivi e la propria strategia di gara per ottenere la miglior prestazione possibile.
Una buona strategia mentale è quella di analizzare le prestazioni passate focalizzandosi su come si sono gestiti imprevisti, ostacoli e fallimenti; a questo punto è utile operare una “ristrutturazione cognitiva” che consiste nell’immaginare e far propria una gestione differente e più funzionale. Il processo può essere rafforzato con la tecnica della visualizzazione.
Autoefficacia
Nella Psicologia dello Sport l’autoefficacia viene individuata come uno dei principali predittori del successo sportivo e può essere definita come un meccanismo cognitivo che media la motivazione, la perseveranza, l’attivazione emotiva e il comportamento (Bandura, 2001).
Questo meccanismo incide notevolmente sulla percezione che l’atleta ha delle proprie potenzialità e sul modo in cui affronta gli eventi stressogeni, aumentando o diminuendo la possibilità di raggiungere il successo nell’esecuzione di un compito e di una competizione sportiva (Cesare Picco, 2017).
Nei momenti di difficoltà che si incontrano durante una gara di endurance avere una buona autoefficacia può decisamente fare la differenza!/strong>
Anche in questo caso come nei precedenti è possibile lavorare con l’atleta attraverso tecniche quali il self talk e la visualizzazione.
Oltre a questi ingredienti non dimenticate la capacità di porsi obiettivi sfidanti, ma allineati alle proprie potenzialità, fondamentale per mantenere alta la motivazione!
Detto tutto questo, non mi resta che augurarvi buona gara e vedervi presto tagliare il traguardo!
da Veronica C. Bertarini | Lug 3, 2019 | MENTAL COACHING
In ambito sportivo, i pensieri che spuntano alla mente possono influenzare positivamente o negativamente la prestazione. E’ quindi opportuno tenere sotto controllo e monitorare il dialogo che l’atleta si rivolge. I pensieri negativi sono disfunzionali, ovvero compromettono l’esito e il raggiungimento degli obiettivi, abbassano la soglia dell’attenzione, aumentano la focalizzazione su stimoli distraenti o irrilevanti, possono provocare un’alterazione dell’umore e indurre confusione.
Il fulcro del self talk sta nella focalizzazione sui pensieri positivi e sugli obiettivi, in modo che essi portino al comportamento desiderato. La tecnica consiste nello sviluppo di affermazioni, incoraggiamenti, brevi istruzioni, parole chiave e frasi stimolanti, da ripetere a se stessi, al fine di sostituire eventuali pensieri negativi con stimoli positivi e rinforzanti.
Alcuni esempi di pensieri disfunzionali, che potrebbero influenzare negativamente la prestazione, potrebbero essere frasi del tipo “ho commesso troppi errori”, “ho paura” “sono agitato”, ”ormai è finita, è tutto inutile”, ”il mio avversario è più forte, non riuscirò a batterlo”, ”non mi sono allenato a sufficienza”, “non ce la faccio” e così via.
QUESTI PENSIERI VANNO SOSTITUITI CON PENSIERI POSITIVI!
Frasi positive che possono sostituire le precedenti sono invece “posso farcela”, “devo restare concentrato”, “respira”, “ vale la pena di tentare”, “mi sono allenato per questo, sono pronto”, ecc..
Quello che caratterizza un Self Talk efficace è la quasi totale assenza della parola NON nella formulazione delle frasi: “Devo concentrarmi” risulta molto più funzionale di “Non devo distrarmi”. Questo perché il nostro cervello fatica a elaborare il “non”, se io ora vi chiedessi di NON pensare ad un elefante rosa, sono certa che tutti lo avete visto nella vostra mente!
Monitorando e dirigendo il pensiero verso stimoli positivi si orienta il focus attentivo e la concentrazione su parti rilevanti dell’allenamento e/o della gara; in questo modo vengono attivate le giuste risorse a disposizione dell’atleta che riesce a mettere in gioco la sua prestazione ottimale.
Ricordate sempre che la nostra attenzione è selettiva, ovvero se mi concentro su un elemento non ci sarà spazio per altro nella mia testa, per questo prima di una gara è importante usare il pensiero positivo per avere fiducia in se stessi e nelle proprie capacità!
da Veronica C. Bertarini | Mag 3, 2019 | MENTAL COACHING
Il concetto di flow si riferisce a un’esperienza ottimale durante la quale mente e corpo sono perfettamente in sintonia mentre si è impegnati in un compito specifico.
Perché è così importante per uno sportivo? Semplicemente perché l’esperienza di flow spesso corrisponde alla peak performance.
Durante il flow si è totalmente immersi nel compito che si sta svolgendo, esiste solo il tempo presente, non ci sono altri da compiacere, nessuna aspettativa ed il piacere non è dato da una ricompensa esterna per ciò che si sta facendo, ma deriva dall’azione stessa.
Questo fenomeno è stato ampiamente studiato a partire dagli anni ‘70 ed il primo ad identificare il flow attraverso le proprie ricerche fu Mihaly Csikszentmihalyi.
“Contrariamente a quello che abitualmente crediamo momenti come questi, i momenti migliori delle nostre vite, non sono passivi, ricettivi, rilasssanti .. I momenti migliori, di norma, occorrono quando il corpo o la mente di una persona sono portati al proprio limite in uno sforzo volontario per realizzare qualcosa di difficile e meritevole”.
Negli ultimi dieci anni, grazie a risonanza magnetica, TAC ed alri strumenti di valutazione siamo arrivati a comprendere:
- gli antecedenti che conducono al flow
- i benefici che il flow apporta sulla qualità di vita
- il ruolo del cervello nel flow
- i tratti di personalità di coloro che sperimentano maggiormente il flow
In questo articolo ci soffermeremo sul primo punto, ovvero sugli antecedenti che conducono all’esperienza di flow.
Come dico sempre ai miei atleti: “Non esiste una formula magica per entrare nella zona di flow”, ma esistono delle condizioni che la favoriscono ed è quindi importante lavorare su quelle variabili con impegno e costanza, affinché possano favorire il manifestarsi dell’esperienza.
I ricercatori hanno identificato 9 dimensioni, la cui somma può generare un’esperienza completa di flow: 3 di queste sono definite antecedenti e le restanti risultati del processo.
Antecedenti:
- Obiettivi chiari
- Equilibrio sfide-competenze
- Feedback immediati
Risultati del processo:
- Attenzione focalizzata
- Fusione tra azione e consapevolezza
- Senso di controllo
- Perdita dell’auto-consapevolezza
- Destrutturazione del tempo
- Motivazione Intrinseca
Tratto da “Running Flow – Tecniche mentali per correre più velocemente”; Mihaly Csikszentmihalyi, Philip Latter, Christine Weinkauff Duranso
Le nove dimensioni dell’esperienza di flow non sono casuali, ciò significa che in quasi tutti i casi i tre antecedenti devono essere presenti affinché possano farvi seguito i risultati del processo.
Vediamo i tre antecedenti nel dettaglio:
Obiettivi Chiari
Una famosissima frase di Seneca ci dice che “non c’è vento favorevole per il marinaio che non sa dove andare”; detto in altri termini, è importante avere degli obiettivi chiari e ben definiti. Vi invito a leggere l’articolo “Perché non riusciamo a raggiungere i nostri obiettivi?” nel quale vi parlo di come un obiettivo debba essere formulato affinché possa essere raggiungibile.
Formulare bene i propri obiettivi è importante quindi, ma non è l’unica variabile da tenere in considerazione. Un aspetto rilevante infatti riguarda la formulazione di obiettivi a breve, medio e lungo termine; a tal proposito la ricerca sulla motivazione (Dweck, 1986; Emmons, 1992) suggerisce che gli esseri umani hanno maggiori possibilità di perseverare verso obiettivi più astratti e grandi, quando dispongono di obiettivi incrementali più piccoli lungo il percorso.
Equilibrio Sfide-Competenze
Per sperimentare il flow è necessario trovare una sfida che da una parte sia alla tua portata, ma dall’altra ti richieda uno sforzo. Obiettivi troppo semplici da raggiungere demotivano e la risultante è la noia, mentre obiettivi troppo sfidanti, non rapportati al tuo livello di competenza, non faranno che metterti ansia.
Trovare un buon equilibrio tra sfide e competenze non è cosa semplice, ma più esperienza maturerai nel saper definire i tuoi obiettivi, più sarai in grado di farlo per le sfide future.
Una recente ricerca ha dimostrato che il flow potrebbe essere raggiunto anche in una situazione in cui le tue competenze sono superiori alla sfida. Questo avverrebbe quando ti senti a tuo completo agio con quell’attività, oppure quando attribuisci un’importanza elevata a quell’attività.
Feedback Immediati
Durante l’attività è di fondamentale importanza prestare attenzione ai feedback interni ed esterni poiché il tuo obiettivo potrebbe richiedere degli adattamenti durante l’azione. Impara innanzitutto ad ascoltare il tuo corpo e a reagire alle sue richieste poiché se apporti delle modifiche, il tuo corpo reagirà positivamente, aumentando la possibilità di sperimentare il flow. Per aumentare questa consapevolezza serve l’esperienza certo, ma anche le pratiche Mindfulness possono essere un valido aiuto.
Più sarai in grado di focalizzare l’attenzione ai segnali del tuo corpo e ai fattori ambientali e più riuscirai a sfruttarli a vantaggio della tua prestazione.
L’aumento di queste capacità non ti permetteranno solo di aumentare le probabilità di sperimentare il flow, ma ti aiuteranno ad aumentare il tuo senso di autoefficacia incidendo in modo positivo sulla tua performance.
da Veronica C. Bertarini | Feb 25, 2019 | MENTAL COACHING
L’ansia da prestazione sportiva è uno stato emotivo con il quale molti atleti si trovano a fare i conti lungo la propria carriera, sia essa amatoriale piuttosto che agonistica.
Essa può essere generata da una mancanza di fiducia nelle proprie capacità, piuttosto che dall’eccessiva focalizzazione al risultato, o ancora, da pressioni esterneche impattano negativamente sulla concentrazione dell’atleta.
Iniziamo con il dire che l’ansia non è necessariamente negativain quanto ci serve durante le nostre prestazioni ad avere un’attivazione corporea e mentale (arousal) adeguata, senza di essa infatti nessuno di noi riuscirebbe ad affrontare al meglio le proprie attività.
Detto in altri termini l’ansia è una componente fondamentale per l’essere umano pertanto non si tratta di un male da eliminare, ma piuttosto di uno strumento che dobbiamo imparare a gestire al meglio per dare il massimo durante le prestazioni.
Un’ansia misurata e ben gestita compie una funzione estremamente positiva, permettendo al soggetto di attribuire una determinata rilevanza ad una situazione.
Quando invece il suo livello diventa troppo elevato significa che il soggetto ha imparato una serie di risposte che se attivate non gli sono utili nella gestione delle situazioni sportive.
Che fare in questi casi?
Innanzitutto è bene sapere che una volta che la sequenza viene innescata è difficile fermarla; la priorità è quindi quella di bloccarla sin dall’inizio.
Lo strumento principale per poterlo fare è la consapevolezza, ovvero il riconoscimento del proprio livello di attivazione.
A questo punto la chiave sta nel riuscire a trasformare l’ansia in concentrazione.
Ricorda che il tuo obiettivo non è quello di eliminare l’ansia, ma di indirizzarla verso un esito positivo: l’ansia è tua amica, se la sai sfruttare!
Vediamo qualche semplice accorgimento per iniziare ad trasformare l’ansia da “paralisi” ad energia positiva!
- Essere ben preparati. Più sei preparato per una competizione, meno ne avrai paura. Pertanto prima della gara ricorda a te stesso che ti sei preparato al meglio! I tuoi pensieri hanno un legame diretto con la tua ansia, pertanto credere nelle tue capacità e pensare positivamente è fondamentale.
- L’ansia è naturale. Accetta che sia normale avere moderati livelli d’ansia e non preoccuparti di quanto gli altri sembrino essere tranquilli perché non è affatto detto che lo siano davvero e soprattutto la tua attenzione deve essere rivolta solo a te stesso.
- L’ansia è tua amica. Non tentare di sbarazzartene, piuttosto canalizzala per gareggiare meglio. Parla a te stesso con frasi del tipo “il mio corpo si sta preparando a una competizione”, in questo modo inquadrerai positivamente la sensazione di ansia interpretandola come normale attivazione per far fronte ad una gara. Fai un paio di saltelli, uno sprint, qualche movimento ad alta intensità che ti aiuti a trasformare questa energia mentale in una risposta fisica positiva.
- Usa la respirazione. Fai una serie di respiri profondi per calmare i nervi. Una buona respirazione riduce l’ansia liberando la tua mente dalla nebbia e riducendo la tensione fisica. Inserisci la respirazione nella tua routine prima o durante la competizione.
- Sii creativo e usa l’immaginazione. Conferisci al sentimento dell’ansia una forma immaginaria, dopodiché collocala attraverso la visualizzazione in un luogo o in un contenitore sicuro che ti proteggerà dalla tua stessa emozione. E’ importante che tu capisca di essere più forte dei sentimenti ansiosi che provi. Tu non sei la tua ansia!
- Stai nel qui ed ora. Rimani focalizzato sul gareggiare al meglio delle tue capacità, momento per momento, fino al traguardo.
- Rimani in un canale di pensiero positivo. Quando stai entrando in una spirale di pensiero negativo capovolgi il dialogo interno, ovvero i tuoi pensieri, in positivo. Ricorda a te stesso: “anche se ora mi sento ansioso, posso ancora dare il meglio e raggiungere il mio obiettivo”.
- Prenditi alla leggera. Tu non sei il tuo sport. Prendi seriamente lo sport ma ricorda sempre che lo sport è ciò che fai, non ciò che sei.
- Ricordati di divertirti!
Scritto da Veronica C. Bertarini – Psicologa, Counselor e Sport Mental Coach
da Veronica C. Bertarini | Gen 8, 2019 | MENTAL COACHING
Spesso accade che la performance in gara sia decisamente sottotono rispetto a quanto avviene in allenamento.
Come mai succede?
Di certo la gara è un evento che porta con sé un carico emotivo maggiore, rispetto ad un allenamento, e conseguentemente un maggior stress da dover gestire, ma non è solo questo ad influenzare la prestazione; infatti molto dipende da dove dirigiamo la nostra attenzione.
L’attenzione è infatti selettiva, ovvero dipende dalla concentrazione dell’osservatore.
In allenamento gli atleti fanno quello che l’allenatore dice loro, concentrandosi su gesti specifici, ovvero spostando la propria attenzione al gesto tecnico da migliorare in quel preciso momento.
In gara dovrebbe funzionare allo stesso modo, l’attenzione dovrebbe essere rivolta a ciò che si sta facendo nel qui ed ora, ma essere totalmente presenti a se stessi nel presente con sensazioni, emozioni, pensieri e azioni perfettamente allineate, non è semplice, soprattutto quando abbiamo un carico emotivo maggiore.
In gara l’allenatore da delle indicazioni agli atleti, ma quello che avviene più spesso rispetto all’allenamento è che all’atleta capita di perdere la concentrazione, la propria attenzione si sposta dalla prestazione a un qualcosa d’altro di distraente che spesso ha a che vedere con il risultato; se il pensiero si sposta al risultato finale dell’azione, vincere o perdere, è inevitabile che l’attenzione sfugga e la conseguenza è un calo immediato della prestazione.
I campioni sono in grado di rimanere concentrati sulla prestazione e in caso di distrazioni riescono a riprendere il comando della propria mente in brevissimo tempo.
Come? Non ci sono trucchi per farlo, ma ci sono tecniche di allenamento come la Mindfulness che ci aiutano a rafforzare questo fondamentale aspetto mentale.
Risulta quindi fondamentale allenare la propria mente a rimanere focalizzata nel presente di ciò che si sta facendo.
Semplici esercizi quotidiani possono aiutarci a perfezionare la capacità di concentrazione togliendo alla nostra testa il “pilota automatico”, ricordate che siamo noi a comandare la nostra mente e non viceversa!