Antonio Rossi, per chi è di Lecco ed è degli anni ’80 come me, rappresenta il campione d’eccellenza del nostro territorio; per questo motivo decido di contattarlo per questa intervista, pur sapendo dei suoi numerosi impegni, tra cui in primis il ruolo di sottosegretario ai Grandi eventi sportivi della regione, che proprio in quel periodo lo vedeva impegnato nell’assegnazione dei giochi olimpici del 2026.

Con grande sorpresa Antonio accetta l’invito ed in tempi brevi lo accolgo a Medinmove per una chiacchierata davvero piacevole, che spero possa essere uno spunto interessante per gli atleti di oggi e di domani.

Antonio, iniziamo con la tua opinione ed esperienza su alcune parole chiave che sono alla base di una carriera sportiva.

#TALENTO

Ci sono due differenti tipi di talento. Innanzitutto c’è il talento “fisico”, penso ad un Alberto Tomba nello sci, ad esempio, oppure al velocista, che per natura ha già più fibre bianche rispetto ad un altro, e in questo caso, questo tipo di talento è qualcosa che hai o non hai.

Il secondo tipo di talento, al quale io mi associo di più è invece quello rappresentato dalla testa, dalla forza d’animo, dalla grinta, dalla voglia di arrivare …. A mio avviso questo tipo di talento può essere più utile quando arrivi alle categorie senior, perché a pari allenamento e pari preparazione fisica è quello che fa differenza.

#PASSIONE

La mia passione è iniziata subito, dalla primissima volta che sono uscito in canoa in Canottieri a Lecco; arrivavo dal nuoto, poi un’estate ho provato ad uscire con la canoa e mi è immediatamente piaciuto.

Avevo circa 12 anni ed essendo nato a dicembre all’epoca la differenza fisica con gli altri ragazzi si vedeva e conseguentemente i risultati non sono arrivati subito, ma mi divertiva uscire nel lago con gli amici e vedevo che anno dopo anno miglioravo i miei tempi e cosí sono arrivato a vincere il primo campionato italiano nella categoria juniores. E’ stato da quel momento che ho iniziato a pensare e sognare di indossare la maglia azzurra, le olimpiadi all’epoca non erano nemmeno un sogno … ma passo dopo passo si sono avvicinate.

La passione poi è stata fondamentale per tutta la carriera, perché sono più le volte che arrivi dietro di quelle che vinci. Senza passione difficilmente sopporti quel tipo di vita, la passione poi non ti fa pesare determinate scelte, non te le fa vivere come un sacrificio.

#SACRIFICIO

Ovvio che hai una vita in cui se la domenica hai la gara non esci con gli amiciil sabato sera, ma per me non è mai stato un sacrificio, perché per me quella era semplicemente la mia vita e tutta la mia focalizzazione era sullo sport.

Dal ‘85 al ‘97 ho fatto una settimana di vacanza all’anno perché il mio obiettivo era quello di volermi sempre migliorare. E’ una scelta di vita che fai tu e che fai fare anche a chi ti vuole bene; penso a mia moglie che ha cresciuto due bambini, mentre io ero in ritiro tre settimane al mese. Se devo dirla tutta quando la mia prima figlia è nata io non c’ero, ero in ritiro da solo a Siviglia e sono tornato 5 giorni dopo, perché avevo la giornata di riposo. Col senno di poi, pensandoci ora, avrei anche potuto perdere 3 allenamenti, ma in quel momento ero totalmente concentrato alla preparazione per le olimpiadi.

Un sacrificio, certo, ma bisogna essere molto determinati se si vogliono raggiungere dei risultati.

#FALLIMENTO

Il fallimento non esiste. Esiste l’esperienza. Vivere le gare come un fallimento significa aver già perso.

#SUCCESSO

Un atleta può essere contento della propria prestazione pur non arrivando primo, ad esempio il mio quarto posto a Pechino è stato una medaglia di legno, ma io ero contentissimo.

Ovvio che c’è differenza tra un quinto e un primo posto, e a dire il vero anche tra un terzo e un primo, ma comunque sono tutti dei grandi risultati!

A volte quello che fa vivere male l’atleta è quello che ci sta intorno, sono le aspettative e i commenti delle persone, che rischiano di allontanare dai veri valori dello sport.

C’è stato un momento un cui ti sei detto “Ho avuto successo” ?

Diciamo che c’è stato un momento in cui sono stato orgoglioso di me e corrisponde al podio. Vincere le Olimpiadi significa provare tanta soddisfazione, non solo per te stesso, ma per il tuo allenatore, la tua famiglia …c’è dietro davvero tanto lavoro e la sensazione è quella di aver fatto qualcosa di importante. Il successo per me è questo: sapere di avere raggiunto un obiettivo.

Dopo un grande successo è però importante tornare sempre con una certa umiltà, altrimenti non riesci mai a riconfermarti.

All rights reserved Antonio Rossi

La testa conta?

Negli sport come il mio credo che la testa sia quello che fa la differenza: nel saperti gestire e nel fare le scelte giuste. E’ qualcosa che è mio avviso è dato anche dalla propria cultura, dalla famiglia, dall’allenatore. Mentre c’è un talento naturale come le fibre che hai o non hai, il talento mentale può arrivare da fattori esterni o essere costruito, anche grazie a figure professionali come la tua.

Ci sono stati periodi in cui “non c’eri con la testa”?

In gara no, ci sono sempre stato.

Tuttavia c’é stato un momento di difficoltà quando nel dicembre del ‘99 ho perso mio padre e pochi mesi dopo, a marzo, è nata mia figlia …lí mi è venuto il pensiero di dover fare qualcosa di serio, un vero lavoro, perché in fondo non avevo mai pensato al mio sport come ad un vero lavoro e passando da figlio a padre sentivo di dovermi prendere qualche responsabilità in più.

La mia famiglia e l’allenatore mi sono stati vicini e alla fine ho scelto di continuare a fare l’atleta.

Quali sono a tuo avviso le tre caratteristiche mentali che più contano per un atleta?

 La capacità di gestire le emozioni è fondamentale e io l’ho acquista con l’esperienza.

Ho vinto il mondiale nel ‘95 e non stavo più nella pelle. Praticamente non ho chiuso occhio la notte, perché ero Campione del Mondo! Il giorno dopo ho gareggiato e sono andato malissimo, nel senso che ero in finale, ma sono arrivato ottavo, perché non avevo dormito!

L’anno dopo, nel ‘96 c erano i Giochi Olimpici in cui ho vinto il mio primo titolo olimpico, dopo la vittoria sono andato in albergo, ho dormito ed il giorno dopo ho vinto di nuovo!

La determinazione è importante e con quella a mio avviso anche l’autostima, nel senso che se sei determinato qualcosa raggiungi e anche se arrivi dietro non ti senti giù perché credi in te stesso, hai in mente il tuo obiettivo e sai che è solo questione di tempo. Diciamo che ci vuole il giusto mix tra autostima, umiltà e narcisismo … troppa autostima rischia infatti di compromettere il tuo desiderio di miglioramento.

La terza è la pazienza, perché anche se sei sulla strada giusta i risultati non è detto che arrivino subito; per pazienza intendo anche la capacità di adattarsi al contesto, ad esempio io ho cambiato compagno di barca quattro volte ed in questo caso la pazienza è proprio la capacità di sapersi adattare alle diverse personalità.

Vedo ad esempio alcuni ragazzi che vincono nella categoria Juniores, poi passano di categoria e non vincendo subito si demotivano, mentre dovrebbero continuare a lavorare ed avere la pazienza di attendere i risultati, perché il contesto è cambiato e bisogna trovare il giusto adattamento.

La routine è uno dei fattori chiave nella preparazione mentale. La routine infatti, aiuta a raggiungere il massimo della concentrazione, prima della propria prestazione. Tu avevi una tua routine chiara e definita?

 Si ed ero anche molto scaramantico!

Come routine per trovare la concentrazione c’era un percorso molto ben definito da quando mi alzavo: colazione, quante ore prima andare al campo gara, riscaldamento a terra, un ora e mezza prima uscire in barca, ritornare, fare stretching fino a mezz’ora prima della gara … poi partire.

Ci sono altri fattori mentali che hai utilizzato nella tua carriera sportiva?

Si, un altro fattore, che a mio avviso è molto importante, e che io ho utilizzato molto nella mia vita sportiva è l’immaginazione.

Mentalmente immagini la gara …. io penso di aver immaginato la gara che poi ho vinto in K1 alle Olimpiadi di Atlanta nel ’96 infinite volte, andavo a letto e addirittura sognavo di salire sul podio, era un mio chiodo fisso, chiudevo gli occhi e me la immaginavo ripetutamente!

Quando sono sceso realmente a fare riscaldamento in quell’occasione, mi sembrava di aver vissuto un dejà vù.

Faccio un altro esempio dell’uso dell’immaginazione … c’era un atleta ungherese che aveva vinto nel’ 88, io mi immaginavo di essere lui, con la tuta della nazionale, mi immedesimavo nel suo stile di vita, persino nella sua camminata … credo molto nel potere dell’immaginazione. Certo non basta immaginare di ottenere dei risultati per ottenerli davvero, ma immaginarsi vincenti credo aiuti molto!

Mi racconti come vivevi il momento della gara? Non il pre o il post, ma esattamente il momento della prestazione?

Quando sei al cancelletto sei molto concentrato su come danno il via i giudici, poi quando sparano é come se rivivessi sempre quel tipo di allenamento. Il mio sport è molto matematico, sai quanti colpi devi tenere, quanta forza metterci, dove aumentare, dove distenderti col passo, quindi respirare un po’ di più e quando attaccare gli ultimi metri, quindi sei sempre molto concentrato. Ognuno dovrebbe essere focalizzato sulla propria corsia, io come punto di riferimento tenevo solo le boe e mi concentravo solo su quello.

Poi ogni tanto curavo anche altri elementi, come ad esempio ad Atlanta quando ho vinto il K1; sapevo che c’era un atleta rumeno con una barca bianca e sapevo che se gli avessi messo la punta davanti i primi 200 mt avrebbe rallentato perché era meno forte, anche di testa, quindi con l’occhio lo guardavo o meglio credevo di guardarlo! In realtà non guardavo lui, ma il catamarano che ci seguiva e che era sempre pari pari … gli ultimi 350 mt dall’arrivo mi sono girato indietro pensando “adesso o io o lui” e mi sono accorto che lui era dietro e chissà da quanto!

La mia esperienza è che durante la gara hai il pieno controllo del tuo fisico e del gesto tecnico, ad esempio io non sentivo il casino e il tifo, ero totalmente dentro la mia prestazione.

Hai mai allenato la tua testa con l’aiuto di un professionista?

In K4 abbiamo lavorato con il Prof. Vercelli ed il metodo S.F.E.R.A. soprattutto per creare una sintonia perché eravamo 4 ragazzi di 3 differenti generazioni.

Io avevo 40 anni, due ragazzi erano sui 30 e un altro sui 20, ed eravamo a punti diversi della nostra carriera e della nostra vita, io ero infatti alla mia quinta Olimpiade, mentre gli altri alla prima, questo significava entusiasmi, aspettative ed esperienze di vita diverse; ricordo che io parlavo dei miei figli e loro … assolutamente di altro!

Con il Prof. Vercelli abbiamo utilizzato visualizzazione e ipnosi per trasformare le potenziali difficoltà in punti di forza.

Devo dire che era la mia prima esperienza con la Psicologia dello Sport, a 40 anni e con alle spalle una carriera già costruita, ma mi sono messo in gioco e credo che per gli atleti di oggi sia un aspetto importante che fa parte dell’evoluzione dello sport.

E’ un po’ come l’utilizzo di strumenti come il Garmin, oggi impensabile farne a meno! Quando ho iniziato io non c’erano questi strumenti, c’era solo un cardiofrequenzimetro della Polar che misurava ogni 5 sec. per 1ora e 40 minuti e ovviamente non era scaricabile al computer, quindi io con la carta millimetrata ogni 5 sec mettevo il puntino, facevo il grafico e lo mandavo all’allenatore. Un atleta di oggi se gli fai fare una cosa del genere ti manda a quel paese, perché è normale che le cose cambino.

Un altro esempio: il nostro allenatore ci faceva contare i colpi di tutti i nostri avversari, ad esempio quanti colpi ci aveva messo ciascuno per fare 500 mt. e a quel punto facevamo il paragone tra me e loro, se io ne facevo di più e loro di meno significava che loro ci avevano messo più forza, è matematica; oggi ci sono dei software che ti danno in tempo reale i colpi di tutti quanti, e nessun atleta, stanco dall’allenamento, passa più il suo tempo a contare colpi!

Allo stesso modo siamo arrivati alla figura dello Psicologo nello Sport.

A cosa è servito in pratica l’allenamento mentale fatto in occasione del 4K?

Ci ha messo assieme, eravamo più sicuri in barca e più consapevoli: sapevamo infatti che, in ogni caso, senza guardare troppo dove eravamo posizionati rispetto agli altri equipaggi, c’era un punto preciso in cui diventavamo più forti, quindi anche se eravamo dietro sapevamo di potercela fare e questa fiducia spesso ci faceva recuperare questo gap. Senza questo lavoro nella stessa situazione ci saremmo potuti demoralizzare.

Quale messaggio vorresti dare ai ragazzi che praticano sport o che vorrebbero farlo?

Innanzitutto che fare sport è importante.

Lo sport insegna tanti valori come il rispetto delle regole e del proprio corpo, insegna a curare i particolari e ad avere degli obiettivi e lavorare duro per ottenerli. Lo sport insegna anche tante altre cose importanti come l’amicizia con gli altri atleti, l’affidarsi ai compagni o viceversa aiutarli e questo insegnamento passa attraverso il divertimento.

Il mio consiglio è quello di fare sport senza pensare né al risultato, né al ritorno economico, semplicemente inseguite i vostri sogni, non quelli dei vostri genitori e col tempo trasformate quei sogni in obiettivi da raggiungere! Nello sport questo è possibile!

 

Se vuoi conoscere i benefici del mental coaching contattami e sarò felice di fornirti tutte le informazioni sul ruolo di mental coach e sui percorsi di allenamento mentale.